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Si scrive nüsat ed è una torta di zucca, patrimonio culinario dell’Oltrepò Pavese

Il nüsat, uno dei patrimoni culinari di tradizione dell’Oltrepò Pavese, rappresenta un’autentica e gustosa testimonianza del passato, risalente persino al Medioevo. Si tratta di uno speciale tortino di zucca che, con orgoglio, veniva presentato nelle case durante la sera delle Sette Cene, una particolare occasione che cadeva l’antivigilia di Natale. Nonostante fosse considerata una cena di magro, la tavola veniva generosamente imbandita con ben sette portate riflettendo la calorosa atmosfera di festa che pervadeva le famiglie durante questo periodo dell’anno. In mezzo a questa ricchezza di sapori e profumi eccelleva con raffinatezza il delizioso nüsat. 

La sera delle Sette Cene 

La sua presenza in questa festa religiosa aveva un significato profondo e sacro. Il nüsat faceva parte di un’antica pratica di preparazione al digiuno, un periodo di penitenza e riflessione in vista della celebrazione del Natale. La prelibatezza di questo piatto era in grado di rallegrare il palato e fornire un sostentamento nutriente per affrontare degnamente il periodo di astinenza e purificazione. 

Nelle case delle famiglie dell’Oltrepò Pavese, l’antivigilia di Natale rappresentava un momento speciale di unione e tradizione culinaria. Le donne della famiglia si dedicavano con passione a preparare il nüsat, mescolando antiche ricette tramandate di generazione in generazione in un calderone che emanava fragranze irresistibili. 

Il significato del nome 

Lo stesso nome “nüsat” ha una storia intrigante. Deriva da un termine dialettale il cui significato sembra alludere alla componente principale di questo piatto: la noce moscata. Questa spezia, dal profumo intenso e dal sapore avvolgente, conferiva al nüsat quel tocco unico e inconfondibile che ancora oggi lo contraddistingue. 

La ricetta con il tempo è andata arricchendosi, ma senza troppi eccessi, perché il gusto di questo tortino arriva proprio dalla sua semplicità. La torta di zucca nei secoli è diventata così un patrimonio culinario che rappresenta l’anima stessa della comunità oltrepadana, la storia e la cultura del suo territorio. Chiunque abbia l’opportunità di assaggiarla verrà catapultato in un viaggio nel tempo, gustando il sapore autentico di un’epoca lontana, ma mai dimenticata. 

La zucca dei romani 

Anche i romani consumavano zucche, ma le varietà che facevano parte della loro dieta erano diverse dalle zucche che siamo abituati a vedere e mangiare oggi. Tra le varietà di zucche che i romani consumavano, una delle più particolari era la Lagenaria siceraria, originaria dell’Africa. 

Questa specie di zucca produceva frutti immaturi di colore verde chiaro, lunghi e spesso ricurvi, coperti da una peluria. Man mano che questi frutti maturavano diventavano lisci. Era proprio durante la fase di maturazione che la zucca Lagenaria siceraria veniva utilizzata per la produzione di contenitori per liquidi, resistenti e impermeabili. La buccia diventava dura e l’interno si svuotava, rendendola ideale per contenere liquidi come l’acqua o il vino. 

Non è quindi un caso che questa particolare specie di zucca sia conosciuta con nomi comuni come “zucca a fiasco” o “zucca bottiglia”. 

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